Il Consiglio di Stato, con la recente sentenza n°6009 del 09.10.2020, si è nuovamente occupato della delicata relazione sussistente tra i valori della trasparenza e riservatezza che, in materia di appalti pubblici, tenuto conto dei rilevanti interessi pubblici e privati in gioco, trova la sua dimensione ordinamentale apicale.
La situazione di fatto, da cui scaturisce la pronuncia ad oggetto, vedeva la Soc. Diddi S.r.l. proporre ricorso innanzi al TAR Toscana per l’annullamento di una nota, mediane la quale il Comune di Abbadia San Salvatore esprimeva il diniego di accesso agl’atti formulato, ai sensi degli artt. 22 e ss.gg. della legge 241/1990, art. 53 del d.lgs. 50/2016 e degli artt. 5 e 5 bis del d.lgs. 33/2013, al fine di poter la stessa espletare il controllo, in qualità di seconda classificata, sull’esecuzione del contratto relativo al lotto n°5 dell’appalto cui aveva partecipato.
Il TAR accoglieva il ricorso, riconoscendo la compatibilità dell’accesso civico generalizzato in materia d’appalto.
Tale sentenza veniva, quindi, impugnata innanzi al CdS dal Consorzio Nazionale Servizi Società Cooperativa (Aggiudicataria).
Orbene, tanto premesso, prima di indagare la sentenza dei Giudici di Palazzo Spada, si permetta, ai fini della maggior comprensione della quaestio juris, un breve excursus relativo all’accesso civico generalizzato.
Trattasi di un istituto introdotto nel sistema nostrano, a sostegno dell’accesso documentale (ex lege n° 241/1990) e dell’accesso civico semplice (ex d.lgs. 33/2013), mediante il d.lgs. 97/2016 (cd. normativa FOIA – Freedom of Information Act).
Uno strumento attraverso cui, a parere di molti, il legislatore dava definitivamente forma all’auspicio di F. Turati, il quale all’inizio del ‘900, in modo lungimirante e nell’esclusivo interesse della collettività, affermava metaforicamente la necessità che “la casa della P.A. fosse di vetro”.
Con esso la trasparenza, salve alcune tassative eccezione, è divenuta concreta e totale accessibilità dei dati e documenti in possesso della P.A., poiché, come previsto dall’art. 5, comma 2, d.lgs. 33/2013, chiunque “ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi dell’art. 3 del medesimo testo” e (aggiungiamo noi) ulteriori a quelli oggetto di accesso documentale ai sensi degl’artt. 22 e ss.gg. della legge n°241/1990.
I problemi maggiori, come era facile immaginare, nel tempo sono sorti nell’individuazione del suo ambito applicativo in materia di appalti e concessioni, ove, ferma restando la necessità di garantire la trasparenza, nel supremo interesse della lotta alla corruzione e a garanzia della leale e perfetta concorrenza del mercato, sussiste un indubbio diritto alla riservatezza di informazioni private relative ad interessi economici, conoscenze tecniche e commerciali (cd. Know How) di coloro che vi partecipano.
Una querelle, in realtà, risolta con il favore del legislatore, poiché all’art. 5 bis, comma 1, 2 e 3, del d.lgs. 33/2013, vengono cristallizzati i tassativi casi in cui l’accesso civico generalizzato debba essere rifiutato e/o escluso.
Nel corso degli anni la dottrina e la giurisprudenza, forti del citato dato normativo e in assenza di una formale preclusione, hanno, quindi, raggiunto una consolidata visione esegetica nell’ammettere l’accesso civico generalizzato nella fase di gara pubblica (aperta, chiusa, negoziata etc…) antecedente alla stipula del contratto tra la Stazione Appaltante e l’Appaltatore. Momento, quest’ultimo, che le SS.UU. ritengono rappresentare lo spartiacque tra l’anima pubblicistica e privatistica della procedura.
I problemi ermeneutici si sono, quindi, spostati in avanti.
In particolare, ci si è interrogati sulla possibilità di estendere l’operatività dell’accesso civico generalizzato nella fase successiva alla stipula contrattuale, rectius, relativa alla esecuzione dell’appalto pubblico.
Questione certamente più delicata per il carattere privato assunto dal rapporto insistente tra Stazione Appaltante e il soggetto Appaltatore.
Da tale natura deriva, da un lato, l’assoggettamento del rapporto alle norme del codice civile, aspetto che escluderebbe a priori l’operatività di norme pubblicistiche e, dall’altro, l’emersione dell’interesse dei privati alla tutela del know how aziendale suindicato.
Su questo spinoso terreno si è pronunciato il CdS, il quale iscrive il proprio dispositivo nell’orbita già segnata qualche mese fa dall’Adunanza Plenaria n° 10/2020, così consolidando l’impostazione di seguito evidenziata.
In particolare, i Giudici di Palazzo Spada hanno statuito che “l’accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti previsti dall’art. 53 del d.lgs. n° 50/2016 (Codice dei Contratti Pubblici), è applicabile anche agl’atti della procedura di gara relativi all’esecuzione dei contratti pubblici.
A ciò, infatti, non farebbe da ostacolo l’eccezione di cui all’art. 5 bis, comma 3, del d.lgs. n°33/2013, in combinato disposto con l’art. 53 del citato testo e le norme della legge n° 241/1990.
Resta, in ogni caso, ferma la necessità di verificare la compatibilità dell’accesso con le eccezioni previste dall’art. 5 bis, comma 1 e 2, a tutela degli interessi pubblici e privati”.
A conclusione, si può affermare che il contemperamento tra i valori della trasparenza e riservatezza non cessa neanche in fase di esecuzione dell’appalto, a condizione, tuttavia, di una valutazione scrupolosa del caso concreto che, rifuggendo da aprioristiche irragionevoli astrazioni, garantisca il sapiente punto di equilibrio tra la lotta alla corruzione, il rispetto della libera e perfetta concorrenza del mercato e il rispetto degli interessi economici, tecnici e commerciali (cd. Know How) dei competitors.