Il Consiglio di Stato, con sentenza n° 7817 del 09.12.2020, si è occupato di un’interessante questione di carattere urbanistico, cogliendo l’occasione per ribadire l’assolutezza del principio di legalità e dei suoi corollari nel diritto amministrativo.
Un precedente giurisprudenziale utile agli operatori del diritto non soltanto relativamente alla questione specifica trattata, bensì per orientarsi nei complessi meccanismi di tale settore ordinamentale.
Tanto premesso, procedendo con ordine, la situazione di fatto che scaturisce della pronuncia de quo vedeva la società ricorrente, poi appellante, richiedere al Comune di Cerignola la concessione edilizia (oggi p.d.c.) per la realizzazione di una palazzina residenziale.
Il Comune rigettava l’istanza poiché in contrasto con lo “studio particolareggiato”, il quale prevedeva una diversa destinazione del suolo sul quale si voleva realizzare il manufatto.
Il provvedimento veniva ritualmente impugnato innanzi al G.A., il quale, a valle del giudizio, disponeva il riesame dell’istanza di concessione, nominando il Commissario ad Acta in sostituzione dell’inerte P.A.
Questi, tuttavia, al pari dell’Ente Locale, seppur con una diversa motivazione, esprimeva il diniego per il rilascio del titolo di assentimento richiesto, affermando che “lo studio particolareggiato del Comune di Cerignola, così come non efficace a determinare varianti del piano regolatore generale in grado di comprimere lo “ius aedificandi” del privato, non fosse neppure in grado di individuare la viabilità esistente rapportata a quella prevista nel piano regolatore generale”.
Avverso tale diniego veniva nuovamente proposto ricorso innanzi al T.A.R. Puglia, il quale, facendo proprie le considerazioni del Commissario, lo respingeva.
Sentenza appellata dalla società privata.
Questi i fatti e l’excursus giudiziario fino al giudizio di II grado.
Il Supremo Consesso Amministrativo, valutata la questione, ha preliminarmente evidenziato che nel caso di specie, lo studio particolareggiato si occupasse di “delimitare una fascia di rispetto stradale”.
Un’operazione che non può essere effettuata in via di fatto, occorrendo una rituale variante, di certo non concretizzata dalla studio ad oggetto, al fine di rendere il progetto assentibile sotto il profilo urbanistico.
Lo “studio particolareggiato”, infatti, a fronte della sua dimensione larvale, figlia di un procedimento amministrativo mai concluso, non può considerarsi uno strumento di pianificazione in variante al piano regolatore, vigendo in tale materia il principio di legalità formale e sostanziale e, quali suoi corollari, i principi di tipicità, nominatività e tassatività degli strumenti urbanistici.
Non va posto, quindi, in discussione il numerus clausus degli strumenti a disposizione dei soggetti legittimati ad intervenire nel governo del territorio, poiché soltanto in questo modo si garantiscono, oltre che le esigenze di carattere formali, un sapiente punto di equilibrio in una materia ove si contrappongono, da un lato, l’interesse pubblico al giusto governo del territorio, e, dall’altro, i diritti fondamentali del privato cittadino (la proprietà privata, l’iniziativa economica, etc …).
Ragioni per le quali, i Giudici di Palazzo Spada, considerato il contrasto tra la domanda di concessione edilizia e il P.R.G. vigente illo tempore, definitivamente pronunciandosi, hanno rigettato l’appello e confermato la sentenza di I grado impugnata.