L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato recentemente, con la nota sentenza n.11 del 27.05.2021, si è occupata di una quaestio juris che sempre di più trova terreno fertile d’elezione nelle aule di giustizia.
Si fa riferimento, in maniera generica, al rapporto insistente tra la disciplina pubblicistica degli appalti pubblici e la disciplina delle procedure concorsuali.
Un tema delicato, poiché crocevia di molteplici interessi (pubblici e privati) sottesi.
In particolare, la V Sezione del Consiglio di Stato, per quanto ivi interessa, ha rimesso al Supremo consesso la seguente questione di diritto:
Se la presentazione di un’istanza di concordato in bianco, ex art. 161, comma 6, legge fallimentare n. 267/1942, debba ritenersi causa automatica di esclusione dalla procedure di gara pubbliche, per la perdita dei requisiti generali, ovvero se la presentazione di detta istanza non inibisca la partecipazione alle procedure per l’affidamento di commesse pubbliche, quanto meno nell’ipotesi in cui essa contenga una domanda prenotativa per la continuità aziendale.
Un intervento nomofilattico necessitato dai due opposti orientamenti che nel corso degli ultimi anni si erano sviluppati nella giurisprudenza amministrativa.
Orbene, i Giudici di Palazzo Spada principiano nell’affermare che la tradizionale antinomia tra le due branche ordinamentali, a partire dal d.l. 83/2012, il quale ha introdotto l’art. 186 bis nella legge fallimentare n.267/1942, si è attenuata grazie alla figura del concordato preventivo con continuità aziendale.
Una variante del concordato preventivo stricto sensu inteso, il quale, diversamente dal fallimento, ha da sempre avuto la finalità recuperatoria (in bonis) dell’impresa sul mercato che viva un periodo di crisi economica (disallineamento dei flussi finanziari) temporaneo e non talmente grave da determinare l’impossibilità oggettiva e irreversibile di ottemperare gli obblighi assunti con strumenti ordinari.
La possibilità concessa all’impresa che abbia presentato una domanda di concordato preventivo con riserva di continuità aziendale, cui sia poi effettivamente seguita l’autorizzazione richiesta, si inscrive in questo nobile e plausibile disegno dell’organo legiferante.
Con modifica dell’art. 38 del d.lgs. 163/2006, si è, infatti, previsto in materia di procedure ad evidenza pubblica un’esplicita eccezione alla regola delle esclusioni per le aziende in stato di fallimento e in liquidazione coatta proprio nell’ipotesi di cui all’art. 186 bis della legge fallimentare.
Se da un lato, tuttavia, per espresso tenore di legge si è, così, chiarito il rapporto tra appalti pubblici e concordato preventivo con continuità aziendale, dall’altro i dubbi ermeneutici si sono sviluppati intorno al rapporto tra appalto pubblico e domanda di concordato preventivo in bianco.
Ipotesi in cui è consentito all’azienda di avanzare ricorso per accedere al beneficio del concordato, con onere di quest’ultima di presentare soltanto in un secondo momento, seppur in un termine ben preciso, il piano di risanamento aziendale da sottoporre all’avallo dall’autorità giudiziaria.
Ebbene, per quanto concerne le dinamiche partecipative alla procedura di gara da parte dell’impresa che avesse proposto tale tipo di domanda si sono sviluppati due opposti orientamenti.
Da un lato si è posto chi estendeva le maglie applicative della deroga prevista dall’art. 38 sulla base dell’effetto prenotativo della domanda di concordato in bianco, in funzione del possibile concordato con continuità aziendale e sulle finalità anticipatorie e protettive dell’istituto,
Sul versante opposto chi riteneva che con la semplice domanda di concordato preventivo in bianco l’impresa riconoscesse il venire meno dei propri requisiti di affidabilità, così che, difronte alla primaria esigenza di tutela dell’interesse pubblico, tale circostanza non poteva che determinare l’esclusione automatica dell’azienda dalla procedura di gara.
Su questo terreno tanto scivoloso interviene l’Adunanza Plenaria con una sentenza salutata con gran favore dagli interpreti.
In particolare, il Supremo Consesso afferma che il sistema nostrano, anche successivamente all’ingresso del nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. 50/2016) si basa su un criterio binario, poiché, (ex art. 80) vengono escluse dalla procedura di gara automaticamente le imprese in stato di fallimento, liquidazione coatta e concordato preventivo, mentre si fa eccezione per le imprese ammesse al concordato con continuità aziendale.
E tuttavia, la relazione illustrativa al codice dell’impresa presente all’art. 372, nel ribadire che la domanda di concordato in bianco non impedisca la partecipazione a procedure di affidamento, sembra puntualizzare all’interprete che lo scopo dell’istituto sia quello di evitare che paradossalmente tale domanda, da strumento di tutela per l’impresa, diventi un ostacolo alla prosecuzione dell’attività imprenditoriale, ciò tradendo, senz’altro, la propria finalità giuridica.
Sulla base di queste considerazioni l’Adunanza Plenaria ha statuito che “ai sensi dell’art. 186 bis, comma 4, della legge fallimentare, la presentazione di una domanda di concordato preventivo in bianco non possa considerarsi automatica causa di esclusione dalla procedura di gara, né precluda all’impresa di partecipare a nuove gare ad evidenza pubblica, ostando a tale ipotesi la funzione protettiva e prenotativa dell’istituto, ovvero la sua ratio legis, così come cristallizzata nella relazione ministeriale all’art. 372 del codice dell’impresa”.
In questo senso il dato letterale dell’art. 186 bis della legge fallimentare va letto in senso più ampio.
E tuttavia, a garanzia del pubblico interesse, completano i Giudici di Palazzo Spada, ai fini della legittimità della partecipazione sono necessarie due condizioni:
– “l’impresa che abbia presentato domanda di concordato preventivo in bianco, chieda al giudice fallimentare l’autorizzazione alla continuazione in un termine che, seppur non indicato specificamente, nell’orbita della buona fede oggettiva, è giusto ritenere che vada presentata senza indugio”;
– “l’autorizzazione del giudice fallimentare, ai fini della partecipazione procedimentale, debba intervenire prima che la procedura di gara sia conclusa attraverso il provvedimento di aggiudicazione;”
Ebbene, per alcuni tale principio di diritto potrebbe apparire una forzatura del dato normativo di riferimento.
Eppure, attraverso il prospettato rigoroso reticolo di condizioni necessarie perché il concordato preventivo in bianco possa risultare compatibile con l’aggiudicazione e/o partecipazione ad una gara pubblica, può, senza riserva alcuna, sostenersi che i Giudici di Palazzo Spada abbiano colto, ancora una volta, l’essenza dell’attività esegetica, ovvero il conseguimento del sapiente punto di equilibrio tra i contrapposti interessi sottesi alla quaestio juris esaminata, senza mai disattendere il rispetto del principio di legalità.